ANAGOOR
dal romanzo Il Sopravvissuto di Antonio Scurati
con innesti liberamente ispirati a Platone e a Cees Nooteboom
drammaturgia Simone Derai, Patrizia Vercesi
con Marco Menegoni, Iohanna Benvegna, Marco Ciccullo, Matteo D’Amore
Piero Ramella, Eliza Oanca, Massimo Simonetto, Mariagioia Ubaldi
regia Simone Derai
maschere Silvia Bragagnolo, Simone Derai
costumi Serena Bussolaro, Simone Derai
musiche e sound design Mauro Martinuz
video Simone Derai, Giulio Favotto
con Domenico Santonicola (Socrate), Piero Ramella (Alcibiade)
Francesco Berton, Marco Ciccullo, Saikou Fofana, Giovanni Genovese
Elvis Ljede, Jacopo Molinari, Piermaria Muraro, Massimo Simonetto
riprese aeree Tommy ilai, Camilla Marcon
concept ed editing Simone Derai, Giulio Favotto
direzione della fotografia e post produzione Giulio Favotto / Otium
produzione Anagoor 2016
co-produzione Festival delle Colline Torinesi, Centrale Fies
In un tempo, il nostro, che porta con sé vorticosi mutamenti, la questione educativa sembra diventata un tema marginale e insieme una montagna inaffrontabile, sempre aggirata per mezzo di riforme scolastiche dannatamente parziali che mortificano insegnanti e ragazzi e il processo stesso della conoscenza.
Stiamo accumulando un ritardo colpevole. Serve che si levi un pensiero alto ed articolato attorno all’educare oggi, alla cura delle coscienze in formazione. Un pensiero che rilevi la stretta connessione tra processo della conoscenza e ricerca della giustizia, tra strumenti del conoscere (che è riconoscere e saper distinguere la verità dall’opinione) e pratica politica. Un pensiero che smetta di separare la filosofia dalla vita, che ricucia lo strappo tra anima e corpo e inviti all’eterna e mai perfetta ricerca della verità unico baluardo contro l’assenza di senso della storia e dell’esistenza.
Con Socrate il sopravvissuto Anagoor entra all’interno di una classe, in una scuola come tante. Lo fa inseguendo alcune pagine del romanzo di Antonio Scurati, Il sopravvissuto e assumendo il punto di vista di chi si dispone di fronte ad un gruppo di giovani incaricato della loro educazione. Non un adattamento teatrale del romanzo, ma, come di consueto nelle creazioni di Anagoor, alcune tra le pagine più emblematiche del libro si intrecciano come un fiume carsico ad altre vicende, altre parole, altre dimensioni temporali: in questo caso gli ultimi momenti di vita di Socrate attorniato dai suoi discepoli prima della condanna a morte.
Tra le ore che precedono la morte di Socrate per ingiunzione della città, così come sono raccontate da Platone nel Fedone, e l’ora in cui lo studente Vitaliano Caccia massacra a colpi di pistola l’intera commissione di maturità lasciando in vita il solo insegnante di storia e filosofia, così come è dipinta con lucida ferocia nel romanzo di Antonio Scurati, si consuma tutta la battaglia, una vera e propria Gigantomachia, al pensiero occidentale dalle sue origini ai suoi inevitabili e tragici esiti storici. Ma non solo, si rinnovano infatti anche due eterni interrogativi: la domanda di senso, ingombrante punto di domanda rivolto al maestro, e la questione stessa della posizione del maestro rispetto al sapere e ai discepoli.
Va dato atto a Anagoor di aver portato nella scena una nuova sensibilità, visiva, solenne, che qui, in questa “classe di morti”, tra le file di banchi e un grande schermo sul fondo, diventa l’immagine di un universo simbolico per parlare di Bene, Male, Giusto, Utile e trasmissione di sapere, passaggio delle conoscenze. […] Non è l’aspetto horror che interessa mostrare agli Anagoor, ma il disorientamento e l’intransigenza dei giovani (interpretati dai “veri” allievi della compagnia, con le loro acerbità), consci che la conoscenza più che dai libri sta nel desiderio e la passione dei maestri, ma anche nella voglia di liberarsene, e tragicamente perfino in quell’atto di rifiuto, diversità, resistenza, anche folle, del giovane sterminatore.
Anna Bandettini, “la Repubblica”
Dopo aver affrontato il rapporto fra lingua e potere in Lingua Imperii e fra poesia e potere in Virgilio Brucia, gli Anagoor passano ora a riflettere e far riflettere – al culmine di quella che per assonanze e rimandi interni è di fatto una trilogia – sulla cruciale questione della trasmissione della conoscenza, delle autorità delegate a questo compito, dunque in sostanza sui rapporti fra sapere e potere. […] Non a caso l’apparato drammaturgico di Simone Derai e Patrizia Vercesi ruota tutto attorno alla figura di Socrate, maestro anomalo, inquieto formatore di coscienze. In questo Socrate il sopravvissuto / come le foglie il problema educativo – l’ansia educativa, l’illusione educativa – vengono per così dire interiorizzati. Si parte dallo sconforto dell’insegnante che, per l’incalzare del calendario scolastico, o per l’indicibilità del Male, per l’impossibilità di spiegare il Male in sé della nostra epoca deve limitarsi a elencare stragi e stermini del Novecento, dalla Shoah alle pulizie etniche, senza alcuna concreta prospettiva di entrare nel merito o cercarne le ragioni. Il nucleo profondo dell’azione è la solitudine del professore a cui i sogni “sono cascati di dosso”, ma che si sente in obbligo di nutrire i sogni dei ragazzi, ed è l’infelicità di costoro, feriti nella loro ricerca di “altri sentieri verso l’assoluto”. È lo struggente contrasto fra la consapevolezza adulta del dolore e il bisogno dei giovani di cogliere “il palpito dell’infinito”. È il rapporto tra corpo e anima, tra aspirazione all’immortalità e coscienza della fine. In questo incontro-scontro fra l’insegnamento come inganno a fin di bene e il “sesto senso per la sofferenza cosmica, che è l’unica facoltà conoscitiva in possesso della giovinezza”, la regia di Derai crea immagini di folgorante intensità.
Renato Palazzi, “Il Sole 24 Ore”
,