ideazione Maria Alterno e Richard Pareschi testo George G. Byron
musica Robert Schumann, Op. 115 musiche originali Donato Di Trapani
live electronics Donato Di Trapani/Angelo Sicurella voce Maria Alterno
disegno luci Andrea Sanson
produzione Madalena Reversa con Motus
› la performance presenta audio a volumi elevati, luci stroboscopiche e intensa presenza di fumo, sconsigliati a chi è affetto da epilessia, cardiopatia, persone fotosensibili e claustrofobiche
› la performance è sconsigliata ai minori di 14 anni.
› spettacolo in lingua inglese con sottotitoli in italiano
Manfred è l’ecodramma della nostra esistenza, lo spirito del nostro tempo, l’umanità presa a morsi da se stessa, barcollante in una bufera di ululati lugubri, sullo sfondo di un’apocalisse incombente.
È un’immagine visivo-sonora che ci schianta in un mal du siècle post-romantico, avvolta da un alone pesantemente darkeggiante, fatta di buio, angoscianti frequenze e clangori metallici, e trafitta da melanconiche melodie che imprimono antiche memorie di Bellezza.
Scritto nel 1816, l’anno di una crisi climatica globale che spinse a indagare e ripensare il rapporto tra esseri umani e Natura, in Manfred prende vita una riflessione multiforme, che è ecologica, spirituale ed esistenziale allo stesso tempo e che si protende avanguardista verso una forma di mal du siècle post-romantico.
Byron si ribella al concetto romantico di Natura e genera una consapevolezza ambientale non ortodossa, che applica al senso dell’ambiente una forma di scetticismo. La Natura come esperienza estetico-contemplativa non è più sufficiente, e Manfred prende la forma di un eco dramma, in cui l’essere umano e le forze naturali sono agenti di un rapporto ambiguo, di fusione e separazione, dialogante e in conflitto. La sfiducia nei confronti delle interrelazioni fra mondo umano e ambito naturale nasce dall’idea che la coscienza umana sia una comunità incarnata di creature, e quest’idea detta e determina l’azione-pensiero di Manfred. Non c’è possibilità di espiazione, esiste solo una colpa non rivelata, e l’angoscia di vivere in un tempo che sembra essere scandito da un fato inesorabile, una condizione ineluttabile che però rappresenta anche “una via di liberazione dai vincoli della condizione umana1”.
Manfred è un’umanità incastrata nel conflitto tra materia e spirito, nella solitudine tra cielo e terra, isolata in un territorio di confine, dominato dall’incertezza. Half dust half deity, metà cenere e metà deità, noise e sinfonia, questa è l’essenza mista dell’essere umano, che vive un continuo sbalzo tra attaccamento e rinuncia alla Terra, tra il desiderio di dimenticare e di essere dimenticati, lasciarsi andare o essere salvati.
Nel 1816 si era da poco entrati nell’Antropocene ma Manfred sembra essere sull’orlo del suo tramonto, al suo estremo atto, dove non è più solo la crisi climatica o la catastrofe ambientale ma la precarietà dilagante che riverbera e si espande in tutti gli ambiti dell’esistenza.
Manfred incarna lo spirito del nostro tempo nel disgusto, nell’indigestione estetica, nel dolore, nell’amore irrimediabile, nella solida disperazione, nel “cogito cavalcato dall’angoscia”.
Byron voleva che Manfred fosse “impossibile per la scena”, creato per un teatro mentale, pensato per una lettura interiorizzata ed un’esperienza individuale.
Manfred ci invita a coinvolgerci intellettualmente, è lo specchio di una proiezione immaginativa, è voce senza soggetto o senza corpo, assume forme non identificabili alla vista. È sottrazione a favore della sinestesia, perché se una possibilità di redenzione esiste, questa sta nella capacità di ergersi sulla propria forza, nel potere dell’immaginazione individuale, nel piantare un seme di speranza nella terra del nulla, dalla quale in lontananza echeggiano antiche melodie. Madalena Reversa